Dall’Accademia Peloritana dei Pericolanti dell’Università di Messina arriva un progetto che almeno sulla carta sembra decisamente più interessante ed efficiente del Ponte sullo Stretto.
E’ stata infatti presentata dall’ingegnere Giovanni Saccà un’ipotesi alternativa che terrebbe in considerazione la costruzione di un tunnel sottomarino al posto del più problematico Ponte, già oggetto di numerose polemiche legate sia ai tempi di realizzazione, che ai costi e le difficoltà tecniche.
Il progetto prevede un tunnel lungo 16 km, di cui 3 km situati sotto l’alveo a 200 metri di profondità, che unirebbe le sponde di Sicilia e Calabria.
I punti congiunti vengono individuati nella frazione messinese di Ganzirri e Punta Pezzo, per quanto riguarda la sponda calabrese.
Il tunnel verrebbe realizzato su modello di Eurasia, la galleria del Bosforo inaugurata pochi mesi fa ad Istanbul.
Da un punto di vista dell’impatto ambientale, un tunnel sarebbe sicuramente meno invasivo nei confronti dell’ecosistema marino, ma soprattutto garantirebbe maggiori margini di sicurezza, potendo resistere anche a terremoti molto forti – con magnitudo superiori a 7 – cosa che il Ponte invece non assicurerebbe affatto.
Il costo previsto è di 1,5 miliardi di euro, con un completamento previsto entro i 5 anni.
Saccà ipotizza anche un tunnel ferroviario lungo il doppio, che collegherebbe direttamente il centro di Messina con quello di Reggio Calabria, garantendo velocità di percorrenza attorno ai 200 km/h. Costi di realizzazione previsti attorno ai 3 miliardi di euro, incluse le opere di adeguamento delle stazioni ferroviarie.
Questa soluzione viene incontro all’invito del ministro Graziano Delrio, il quale ha rimarcato come “il ponte sia una delle ipotesi, che non può essere esclusa a priori e non può nemmeno, però, diventare la principale”.
L’Europa si attende che il corridoio scandinavo-mediterraneo venga completato entro il 2030.
Collegare le sponde di Calabria e Sicilia avrebbe un significativo impatto anche e soprattutto sul trasporto merci, riducendo del 25% i costi di esportazione verso l’estero.
8 miliardi di questi tempi potrebbro essere troppi, meglio provare a spillarne ai cittadini un po’ di meno.